Non saprei dire se la colpa fosse del caldo soffocante, dell’umidità appiccicosa, della stanchezza accumulata, della dieta squilibrata a base di birra e Oreo, del sessismo che ancora aleggia nell’educazione di molte ragazze o del fatto che tutte avessero occhi solo per il mio compagno di stanza. Fatto sta che mi ritrovo nel bel mezzo di una situazione al limite della rissa stile Isola dei Famosi o Pechino Express.
Non essendo Antonella Elia, scelgo di non rispondere a perle come: “Se non metti mai i tacchi, hai ancora molto da imparare sulla sensualità, mia cara” (anche se avrei volentieri strappato facce a mani nude). Mi limito a dichiarare: “Va bene, adesso mi sono rotta il cazzo”, e me ne vado.

“Ma perché non le hai mandate tutte a fanculo?”
“Perché se lo faccio poi non si torna indietro, lo sai come sono fatta. E comunque ce l’ho anche con te, perché ti piace fare il gallo del pollaio.”
Questa volta, non ci sono ritrovamenti di grassi gechi appostati in bagno a stemperare il nervosismo. Rimane solo una tensione sospesa e fastidiosa, che ci portiamo dietro fino al mattino, quando siamo tutti stanchi, nervosi e, ovviamente, ancora litigati. Lo stato d’animo perfetto per affrontare ore tra scali aeroportuali.

Per aggiungere pepe alla giornata, ci dividono su due voli. La decisione è che i maschi si sacrifichino (per una volta), il che significa che passerò molto tempo da sola con il cast improvvisato di Sex & The City. Cappuccio della felpa ben tirato su (grazie all’aria condizionata malese, che sfiora la crioterapia) e cuffiette in modalità isolamento totale.
Arrivata a Kota Kinabalu, l’ostello è in un vicolo polveroso che sembra uscito da un documentario sulle città industriali asiatiche. Mi consegnano la chiave di una cameretta minuscola, rosa, con una finestra che si affaccia su muri grigi, tetti di lamiera e altre finestre uguali. Non so bene con chi la dividerò, per il momento è tutta mia. Mi sciacquo il viso e scendo.

Le altre si sono palesemente rese conto di aver esagerato (ma va?). Tentano goffamente di lisciarmi le penne, ma io lascio cadere ogni tentativo di conversazione. Nonostante tutto, ci dirigiamo tutte insieme verso il centro città, perché anche l’ostilità ha bisogno di una pausa pranzo.
Kota Kinabalu (KK per gli amici) è la vivace capitale dello stato del Sabah, nella Malesia orientale, sull’isola del Borneo. Affacciata sul Mar Cinese Meridionale e con il maestoso Monte Kinabalu che svetta all’orizzonte, anche se non ha lo skyline di Kuala Lumpur, KK ha il suo fascino moderno, con centri commerciali, locali e una passeggiata sul lungomare ideale per godersi il tramonto, che qui è un vero spettacolo.

È il giorno della settimana in cui mi tocca la profilassi antimalarica: nausea che ti spezza e un mal di testa che sembra un martello pneumatico. Il foglietto illustrativo del farmaco è grande quanto un lenzuolo matrimoniale e pieno di roba moderatamente inquietante: insonnia, sogni strani, depressione, ansia, vertigini, problemi alla vista, vomito, lesioni della bocca, disturbi dell’equilibrio, tachicardia. Insomma, la nausea sembra il bonus meno grave dell’intero pacchetto.
All’inizio pensavo che tutti esagerassero, il foglietto illustrativo compreso. Poi è arrivata la seconda settimana di cura, e con lei gli incubi degni di Suspiria e sbalzi d’umore da manuale di psichiatria (naturalmente in modalità pessimismo e fastidio). Una volta, prima di partire, mi sono messa a piangere senza alcun motivo e non c’era verso di fermarmi: una cascata inarrestabile. Un’altra volta mi è venuta la tachicardia. Non mi era mai successo prima, e giuro, per un attimo ho pensato che il cuore mi sarebbe schizzato fuori dal petto in stile Willie Coyote, con tanto di nuvolette di polvere.
Riesco a rimediare delle pillole per l’emicrania in una farmacia dall’aria decisamente equivoca, di quelle dove non sai se stai acquistando un farmaco o il primo passo verso un documentario true crime. Mi allungano un blister anonimo, senza scatola né bugiardino, e io decido di fidarmi, sperando con tutto il cuore che si tratti di Optalidon e non di un sonnifero per cavalli. È una giornata pesante, e il mio mal di testa sembra voler mettere radici.

Le ragazze, nel frattempo, si impegnano a strappare qualche parola al mio mutismo selettivo. Concedo solo qualche monosillabo, un po’ per principio, un po’ perché la situazione non aiuta. Il mercato notturno di Kota Kinabalu, che si affaccia sul mare grigio e opaco come un coccio di bottiglia, è una giungla vibrante e affollatissima. L’odore di pesce è ovunque, un mix di banchi stracolmi dove si sfiletta a colpi di mannaia e pescherecci che galleggiano sullo sfondo come set decorativi di un film troppo realistico. Tra le bancarelle ci sono specialità locali di ogni tipo, alcune facilmente riconoscibili, altre che sembrano uscite da un laboratorio di esperimenti culinari.
Dopo aver scelto i pesci migliori per la cena a una bancarella particolarmente promettente, ci sediamo a un chiosco sul molo a bere qualcosa di fresco. La brezza porta con sé un po’ di sollievo e, dopo un paio di birre, decido di deporre le armi (o almeno faccio finta). Il tramonto è un’esplosione di rosa shocking, come se il cielo avesse deciso di strafare per una volta. Nel mare, con la stessa indolenza di un turista annoiato, nuota qualcosa che sembra un incrocio tra un varano e Godzilla. Non sto scherzando: sarà stato lungo un metro e mezzo. E mentre lo guardo, un pensiero mi attraversa la mente: questa giornata, alla fine, non è poi così male.

Dal tramonto in poi, Kota Kinabalu si trasforma e migliora esponenzialmente. Il mercato diventa un caos vivace e irresistibile: ovunque c’è gente che mangia qualcosa, qualunque cosa, e si mescola a un vociare disordinato che sembra parte della colonna sonora ufficiale della città.
Mi sono riunita alla gang e finalmente gli argomenti di conversazione sono quelli giusti. Niente più discorsi tipo “a casa sono molto più curata, praticamente irriconoscibile”, ma piuttosto “andiamo al supermercato a prendere un po’ di birre?”. È il segnale che le cose stanno andando nella direzione giusta. Per un attimo, mi dimentico persino che dall’altra parte del globo c’è qualcuno che mi fa battere il cuore. Sono finalmente felice.

Ovviamente, proprio quando sembra che tutto sia perfetto, va in scena una nuova sceneggiata. Tema: il cibo, il che la cataloga per direttissima come “da Isola dei Famosi. Fra, intento a spinare con una certa professionalità un pesce pappagallo, abbandona il suo solito atteggiamento da svagato pacifico e, con una teatralità che meriterebbe un Oscar, si alza in piedi.
“Scusate, avete rotto il cazzo. No, seriamente, mi sono rotto il cazzo. Siamo in ferie, eppure ogni motivo è buono per rompere il cazzo.”
Lo guardo ipnotizzata, mentre il resto del tavolo sembra esplodere in silenzio. Alla fine, si piazza le mani sui fianchi, con l’aria di chi sta per dare ordini a un equipaggio in piena tempesta, e ci fissa:
“Beh. Andiamo a ubriacarci o no?”
Che importa se il mattino dopo ci dobbiamo svegliare alle cinque? La serata ormai ci appartiene. Ci sistemiamo in una serie di localini carini con i tavoli all’aperto davanti al mare. L’euforia ci travolge, la situazione degenera rapidamente in un pub crawling senza freni e dimentico del tutto di aver passato la giornata a covare rancore. In ogni locale beviamo qualcosa di diverso e brindiamo alla salute di Fra, il nostro novello eroe.

L’ultimo bar è la ciliegina sulla torta: fanno karaoke. Una di quelle cose che ho sempre trovato sopportabile solo dopo aver accumulato un certo numero di unità alcoliche, che ormai sono innumerevoli. A un certo punto, decido di fare una pausa per andare in bagno, dove mi scatto una serie di selfie che l’indomani scorderò di avere fatto. Non contenta, colgo l’occasione per mandare un paio di messaggi sfacciati di cui, purtroppo, mi ricorderò benissimo (maledetto sia il Wi-Fi nei locali di Kota Kinabalu).
Domattina la sveglia suonerà alle sei per un trasferimento, e ovviamente nessuno ha nemmeno iniziato a preparare il bagaglio ridotto. Ma non importa: chiudiamo comunque il locale. Nel frattempo, inizia a piovere, e torniamo all’ostello correndo sotto uno scroscio caldo, ridendo come dei ragazzini che non hanno alcuna intenzione di crescere.

Ecco una breve lista di cose utili da sapere su Kota Kinabalu:
- Posizione strategica: Kota Kinabalu, la capitale dello stato malese del Sabah, si trova sulla costa nord-occidentale del Borneo, affacciata sul Mar Cinese Meridionale.
- Tramonti spettacolari: La città è famosa per i suoi tramonti mozzafiato, in particolare dal lungomare o dalle spiagge vicine come Tanjung Aru.
- Mercati vivaci: Il mercato notturno e quello centrale sono imperdibili per provare specialità locali, dal pesce fresco ai dolci tradizionali. Preparati per un’esperienza sensoriale intensa!
- Monte Kinabalu: È il punto di partenza per raggiungere il Parco Nazionale del Kinabalu, sito UNESCO, e per chi ama le sfide, scalare il Monte Kinabalu (4.095 m) è un’esperienza unica.
- Cultura e storia: Visita il Sabah Museum per conoscere la storia della regione e il Mari Mari Cultural Village per scoprire le tradizioni delle tribù indigene del Borneo.
- Isole paradisiache: Le isole del Parco Marino Tunku Abdul Rahman sono facilmente raggiungibili in barca e offrono snorkeling, immersioni e relax su spiagge tropicali.
- Cibo locale: Prova piatti come il Laksa Sabah, il pesce fresco alla griglia e il Tuaran Mee, un noodle locale amatissimo.
- Clima tropicale: È caldo e umido tutto l’anno, con piogge più frequenti da ottobre a marzo. Porta abbigliamento leggero e impermeabile!
- Varani di mare: Non è raro avvistare varani di grandi dimensioni nuotare vicino al lungomare o tra i rifiuti del mercato. Sono innocui, ma impressionanti!
- Spostamenti: La città è compatta e percorribile a piedi, ma per escursioni più lontane è comodo affidarsi a taxi, Grab (l’app locale) o tour organizzati.

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