giorno 11: CABO SAN JUAN DEL GUIA

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Mi sveglia il vento freddo e umido che arriva dal mare, facendo dondolare le amache. Al Camping Cabo San Juan di sera non c’è corrente, quindi non si può fare molto (i falò e le chitarre sono severamente vietati), perciò si va tutti a letto più o meno alle 21.

Dormire in amaca non è proprio il massimo. Tra le trame di fili colorati noto delle macchie scure. Cerco di non guardarle troppo, ma dopo un rapido esame del rischio pulci (soprattutto considerando il cagnetto rognoso che dorme nei paraggi) scatta l’operazione sacco-lenzuolo.

Svestirsi al buio con le torce frontali non è un problema, ma infilarsi nel sacco senza che tocchi terra (leggi: sterrato), arrampicarsi sull’amaca con le gambe già nel sacco senza ribaltarsi, e soprattutto evitare di appoggiare la testa direttamente sul tessuto… beh, questa è un’impresa degna di nota.

La “posizione giusta”, in realtà, non esiste. Si può cercare di rimanere in equilibrio per non rotolare fuori, ma prima o poi la gravità chiama e finisci per girarti in qualche modo. Ogni amaca ha un numero e un armadietto abbinato, ma non mi sono fidata troppo, così ho “dormito” con portafoglio, cellulare, Kindle e passaporto imbustati insieme a me nel sacco-lenzuolo.

Chema Photo via Unsplash

Il Camping Cabo San Juan è uno dei più famosi e frequentati del Parco Nazionale di Tayrona, in una posizione spettacolare tra due baie con acque cristalline. Nonostante la posizione idilliaca, però, le strutture sono piuttosto spartane: cinque toilette e cinque docce in totale, separate da muretti che arrivano a malapena al petto (viva la privacy), oltre a due lavandini e uno specchio. E visto che con la prima luce siamo già tutti svegli, le code per qualsiasi cosa sono epiche.

Tra la coda per lavarsi i denti e quella per prenotare la colazione (a scelta tra uova strapazzate gelatinose e un’omelette ai peperoni in stile Aldo Baglio), noto che i miei vicini d’amaca mi fissano intensamente.

“Dobbiamo darti una notizia. Brutta. C’è una blatta gigante, nel tuo armadietto.”

Pensavo esagerassero, ma appena apro l’anta, sono stata presa a schiaffi da uno scarafaggio grande come il palmo della mia mano. Il problema andava risolto, e velocemente. Quindi, ho fatto l’unica cosa sensata: ho tirato fuori i miei effetti personali alla velocità della luce, ho richiuso l’armadietto e me ne sono andata.

Un po’ per trovare un’alternativa migliore, un po’ per passare la giornata (perché oziare sulla spiaggia tutto il giorno è bello fino a un certo punto), ci offriamo in quattro di partire come battitori e risalire la costa in cerca di un campeggio più pulito e meno affollato. I primi due che troviamo sono meno popolati, ma a livello di pulizia sono messi addirittura peggio.

Fino a che, a una decina di minuti dalla spiaggia La Piscina, un miraggio: prati verdi, casette rosse con il tetto di paglia, zanzariere candide, tutto pulito e ordinato. Il Camping Tequendama. Dopo esserci informati sui prezzi (ragionevolissimi), decidiamo di tenere duro per un’altra notte a Cabo San Juan, dove magari proveremo a prenotare un paio di tende canadesi, e di spostarci il giorno dopo, per venire incontro alla metà gruppo di ritorno dalla Ciudad Perdida.

Sulla via del ritorno, ci fermiamo al chiosco di Playa La Piscina per la prima birra fresca della giornata, anche se sono solo le dieci del mattino.

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