giorno 20: KUALA LUMPUR by day

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Mi sveglio dopo poche ore di sonno senza sogni, con la luce che mi trafigge le retine come una lama. Fuori è già un forno. Scendo a fare colazione solo con il corpo, mentre la mia anima è rimasta a letto. Mi affido a un caffè americano annacquato e a un toast con marmellata di cocco, che in realtà è una melassa color caramello, densa e appiccicosa, sicuramente piena di zucchero.

L’obiettivo della giornata è ambizioso: esplorare tutta Kuala Lumpur entro le sette di sera, tornare all’ostello per rinfrescarci e prepararci al volo di ritorno. Perché sì, abbiamo saggiamente prenotato una stanza per qualche ora extra, anche se il numero di persone con cui la condivideremo è vagamente allarmante.

Batu Caves: scalata all’alba (più o meno)

Prima tappa: Batu Caves, le celebri grotte sacre. Raggiungerle con i mezzi pubblici si rivela un’impresa più impegnativa del previsto: solo per arrivare alla fermata, dobbiamo aggirare due cantieri e, naturalmente, prendiamo la linea sbagliata. Va detto che dopo il clubbing della sera precedente non siamo proprio al massimo della lucidità.

Finalmente arriviamo. Ai piedi delle grotte si apre un tempio sgargiante, un tripudio di colori che contrastano con il nostro stato semi-comatoso. Un bramino ci applica una tika rossa sulle fronti sudate, e poi inizia la vera sfida: 272 gradini ripidi, sorvegliati da una gigantesca statua dorata di Murugan e da un esercito di scimmie. A prima vista sembrano carine, ma siamo ben consci che in realtà siamo di fronte a pericolose delinquenti dedite a furti e risse.

Dall’alto, Kuala Lumpur si estende in una distesa di grattacieli e tetti di lamiera. Nonostante la folla, l’atmosfera mistica delle due grotte-templi ripaga la fatica e la levataccia. Ma per il ritorno abbandoniamo ogni velleità da pellegrini e chiamiamo un Grab (l’Uber del Sud-Est asiatico).

Anelale Nájera via Unsplash

Shopping, aria condizionata e un duro colpo all’autostima

Di ritorno in città, esploriamo un mercato locale in cerca di souvenir improbabili, poi ci rifugiamo in un centro commerciale, travolti dal bisogno viscerale di aria condizionata. Qui, tra boutique di lusso e food court affollate, scopriamo un’intera ala dedicata esclusivamente agli accessori per cellulari. Cover di ogni tipo: glitterate, con le orecchie da coniglio, a forma di ramen. Voglio prenderne una, ma quando dico il modello del mio telefono, il commesso mi squadra come se avessi chiesto un Nokia 3310 e scuote la testa con disprezzo. “Troppo vecchio”, sentenzia. Grazie, amico.

Mehdi Ben via Unsplash

Kuala Lumpur dall’alto (senza tramonto, purtroppo)

Dopo un rapido briefing, decidiamo di salire su uno dei grattacieli per goderci il tramonto. Scegliamo lo Sky Deck della KL Tower, da cui si possono vedere anche le Petronas Towers. Purtroppo, il cielo ha altri piani: nuvoloni neri si addensano all’orizzonte e l’aria è carica di pioggia. Il tramonto sfuma, ma ormai siamo in coda e saliamo lo stesso.

Da lassù, Kuala Lumpur sembra Gotham City: grigia, cupa, avvolta nella nebbia e nelle luci artificiali. L’atmosfera è quasi surreale, ma comunque suggestiva. Finita la contemplazione, decidiamo di vedere le Petronas da vicino, quindi altra corsa in Grab.

Ultime ore in ostello e rientro a casa

Avere un posto dove farsi una doccia e cambiarsi, anche se condiviso con un numero imbarazzante di persone, è una benedizione. Usciamo per l’ultima cena malese, che scegliamo con criterio scientifico: il fast food più unto nelle vicinanze dell’ostello. Pollo fritto, birra calda e via.

Fuori piove. Kuala Lumpur, ormai, è solo luci riflesse sull’asfalto bagnato. È il momento di tornare a casa.

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