Lo capiamo poco dopo esserci imbarcati che qualcosa non va. Tutti hanno sistemato bagagli nelle cappelliere e si sono seduti, ma non decolliamo. Nessuna accelerazione, nessun decollo. Solo un interminabile balletto sulla pista.
Ci fermiamo. Facciamo qualche altro giro di pista. Ci fermiamo di nuovo. Le luci si accendono e si spengono, come se stessimo partecipando a un quiz: “Indovina perché non partiamo?”. Finalmente qualcuno prende coraggio e annuncia al microfono: problema tecnico.
L’aria condizionata si spegne. Siamo fermi, sudati, irritati e già in ritardo. Ci riportano al gate e aprono il portellone. Salgono i tecnici, presumibilmente per “capire cosa non va”. Speriamo abbiano qualche idea migliore delle nostre, perché a bordo il nervosismo cresce. La coincidenza da Barcellona per Malpensa è ufficialmente andata.
Dopo un tempo che sembra eterno, scendono i tecnici. Il comandante prende il microfono con la stessa riluttanza di chi deve confessare di aver rotto un prezioso vaso di cristallo: l’aereo non partirà. Non che qualcuno fosse entusiasta di volarci fino in Spagna. Bene, si scende tutti.
Nel terminal, la tensione esplode. La polizia arriva a calmare gli animi, minacciando multe di svariatimila pesos e notti in galera per chi osi protestare troppo. Io mi siedo sulla moquette, schiena al muro, con la testa tra le mani. C’è chi piange, chi dorme in pose improbabili, chi telefona disperatamente (non io, visto che il mio telefono è in mano di chissà chi).

Dopo altre due ore di attesa, ci informano che saremo portati in un albergo, per dormire un po’ e “capire domani”. Scatta una corsa a farsi annullare il visto d’uscita, cercare il proprio bagaglio e saltare su una delle navette, nella speranza di non separarsi.
Alla fine, arriviamo in un hotel. Sono le cinque del mattino quando finalmente faccio una doccia calda e sprofondo in un letto morbidissimo.
Due ore dopo, eccoci di nuovo in aeroporto. Nessuna certezza, solo un messaggio vagamente ottimista: ci divideranno tra quelli diretti a Roma e quelli del Nord Italia. I “romani” fanno subito check-in per un volo mattutino. Noi “milanesi” torniamo in un altro hotel (o forse lo stesso, chi può dirlo a questo punto?) fino alla sera, quando forse torneremo a casa via Parigi.
Mangiamo qualcosa, poi ci ritiriamo, ognuno in una lussuosissima (o probabilmente normale, siamo noi a non essere più abituati) singola. Doccia calda, lenzuola immacolate e un sonno profondo, fino a quando qualcuno bussa alla porta nel tardo pomeriggio. Cambio di programma. La compagnia ha trovato dei posti per un volo che parte alla stessa ora di quello che avremmo dovuto prendere ieri. Dobbiamo andare là SUBITO.
E così, con 24 ore di ritardo, abbiamo salutato la Colombia.

Leave a comment