nerorimmel

Di Bogotà mi restano pochissime foto, e per ovvi motivi.
Quando gli IT insistono sull’importanza di fare il backup, beh, hanno ragione da vendere.

Svegliarsi senza il suono della sveglia è stranamente surreale. Dopo una nottata in discoteca e senza cellulare, ero preoccupata di non riuscire a svegliarmi. E invece, alle sette spaccate, apro gli occhi. Una doccia veloce, mi vesto e inizio ad asciugarmi i capelli quando bussano alla porta, giusto per controllare che non stia ancora dormendo.

È l’ultimo giorno di viaggio. Gli zaini finiscono in deposito, lasciati come promemoria silenzioso che l’ora di andare è vicina. Passeremo la giornata girovagando per Bogotà, poi, in serata, ci dirigeremo all’aeroporto per il volo di mezzanotte.

Fuori, l’aria che tira è la solita: fredda e umida, il tipo di freddo che ti fa alzare il cappuccio sulla testa e desiderare un maglione in più. Prendiamo la funicolare per salire fino all’Eremo di Monserrate. Arroccato a 3152 metri sul livello del mare, sulla cima del Cerro de Monserrate, l’eremo offre una vista a 360° sulla capitale colombiana, che si estende in tutta la sua vastità e disordine sotto un cielo spesso lattiginoso. Il vento ci sferza il viso mentre ammiriamo la città sotto di noi: un’enorme distesa caotica di tegole rosse, grattacieli dall’aria stanca e quel tipico disordine che sa di vissuto.

Tra un giro e l’altro, smaltiamo gli ultimi pesos comprando calamite trash che non abbiamo bisogno di giustificare. Poi ci fermiamo in un bar per provare il tè caldo alle foglie di coca. Sa di fieno, o forse di un prato troppo asciutto.

Finalmente, è ora di andarsene. Gli zaini vengono lanciati sul nastro dei bagagli per l’ultima volta. Le ore successive scorrono tra passi svogliati nell’aeroporto El Dorado, spuntini improbabili e chiacchiere leggere che non hanno bisogno di significato.

Con i pesos rimasti, ci concediamo delle Club Colombia, brindando al nostro viaggio. E poi, senza troppa fretta, andiamo ad imbarcarci.