giorno 18: VILLA DE LEYVA

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Ci svegliamo presto, come sempre, e ci ritroviamo tutti a fare colazione in terrazza in uno stato catatonico. Abbiamo i portafogli vuoti e dei flash della serata precedente, in cui, a turno, ordinavamo giri di rum per tutti, buttando cinquantamila pesos sul bancone come se fossero noccioline. Ma, in fondo, è stato figo.

Prima siamo finiti in un locale grande come un appartamento da fuorisede, ma con pretese da discoteca, tra luci stroboscopiche e una musica che faceva tremare i vetri. Quando siamo entrati, chi ballava ci ha dato il cinque solo perché non sembravamo colombiani. Fuori, a fare da contorno, c’erano personaggi a vari livelli di ubriachezza: da quello che abbraccia tutti al pre-coma etilico (saranno state le 22, massimo).

La discoteca wannabe chiude poco dopo, e ci trasferiamo nel locale accanto, dove ci sono giusto un paio di avventori che sorseggiano birra e una coppia scazzata dietro al bancone. Poi, senza che me ne accorgessi, è successa la magia: i nostri giri di shottini hanno fatto il loro effetto, e a un certo punto il posto era pieno, la musica è diventata alta, e noi parlavamo in spagnolo con sconosciuti. I ragazzi dietro al bancone non sembravano più così scazzati e in procinto di chiudere, e anche i due tizi seduti si erano messi a spinnare birre.

Quando finalmente hanno deciso di chiudere e sbatterci fuori, eravamo rimasti in pochi: l’élite intellettuale del Gruppo Disagio. Siamo usciti a ridere, cercando un altro posto dove bere ancora. Ho ricordi vaghi di una cucina (?) con una signora che impastava qualcosa e due uomini che guardavano una partita di calcio (??).

Ci sono diverse foto di altri con la mia felpa addosso, e ho il vago ricordo di aver fatto il palo mentre qualcuno faceva pipì dietro l’angolo. Credo di aver passato ancora un po’ di tempo a parlare dei massimi sistemi, fissando la via acciottolata fuori dall’albergo, con un cane rossiccio e pulcioso seduto vicino. Non so che ora fosse quando sono rientrata, al buio, facendo attenzione a non svegliare la mia compagna di stanza.

Al risveglio, ci aspettava la colazione sulla terrazza assolata, e poi qualche ora libera per girovagare per le strade di ciottoli con la luce del giorno.

Alex Mercier via Unsplash

Villa de Leyva è una pittoresca cittadina colombiana, famosa per il suo centro storico ben conservato, che sembra uscito direttamente da un dipinto coloniale. Situata nella regione di Boyacá, a circa 150 km da Bogotá, la città è caratterizzata da strade acciottolate, edifici bianchi e piazze vaste, tra cui la Plaza Mayor, una delle più grandi della Colombia. Villa de Leyva è anche rinomata per il suo paesaggio circostante, che comprende montagne, colline e formazioni rocciose, ideali per passeggiate e escursioni.

Nel corso degli anni, è diventata una meta turistica molto popolare per chi cerca un’atmosfera tranquilla e autentica, ma non manca anche di offrire attività culturali, come festival e mostre d’arte. Le sue tradizioni artigianali, in particolare la ceramica e il tessile, sono un altro punto di forza.

Tra tutte le attività che potremmo scegliere, tornando verso Bogotà, decidiamo di fermarci al Museo del Fosil per una visita guidata: questo museo espone una vasta collezione di fossili risalenti a milioni di anni fa. Si trova a pochi chilometri dalla città, nella zona di El Fósil, un sito famoso per il ritrovamento di resti preistorici. In particolare, il museo ospita il famoso fossile di “Titanosaurus”, un dinosauro erbivoro che visse nell’era Cretacea. La collezione include anche altri fossili di mammiferi, pesci e piante, offrendo una panoramica interessante sulla fauna e la flora che abitavano la zona in epoche remote.

Raggiungiamo Bogotà che è già tardi, è già buio e tira un vento gelido. Il fatto che il personale dell’albergo ci sconsigli non solo di chiamare taxi in autonomia ma perfino di rimanere a fumare sul marciapiede lì fuori farebbe suppore che, questa volta, non alloggiamo nella “zona bella” della città.

Ma comunque sarà solo per una notte, e non c’è il tempo per preoccuparsene.

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