giorno 13: PLAYA LA PISCINA

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Playa La Piscina è il gioiellino nascosto del Parco Nazionale di Tayrona, una di quelle spiagge che ti fanno pensare: qui potrei restare per sempre. Il nome, “la piscina”, non è dato a caso: è una baia naturale riparata da rocce che trasformano il mare in un placido specchio d’acqua, perfetto per chi vuole nuotare senza temere le famigerate correnti dell’oceano (o senza doversi aggrappare a un salvagente, per intenderci).

A differenza della chiassosa Cabo San Juan, Playa La Piscina è decisamente più tranquilla. Qui si respira un’aria diversa, fatta di pace e silenzi interrotti solo dal fruscio delle palme e dal suono delle onde. L’acqua è così limpida che ti sembra di essere in un documentario di Jacques Cousteau. Se hai maschera e boccaglio, è il posto ideale per fare snorkeling: con un po’ di fortuna, ti ritroverai a fissare pesci tropicali che si muovono con tutta la grazia che a te manca quando cammini sulla sabbia bollente.

Arrivarci è semplice, almeno in teoria. Playa La Piscina si trova lungo il sentiero che collega Cañaveral a Cabo San Juan. Una camminata di 40-50 minuti immersi nella foresta tropicale, con qualche scorcio mozzafiato sul mare che compensa il sudore. Certo, il caldo e gli insetti non mancano, ma per una spiaggia così ne vale assolutamente la pena.

Festeggiamo Ferragosto con una cena che, per gli standard del Tayrona, rasenta il lusso: un tavolo con la tovaglia e – attenzione – il rum. Sulle amache pulite, ci sembra di dormire quasi bene. Quasi.

La mattina ci svegliamo di buon umore e ci piazziamo in spiaggia ad aspettare il gruppo di ritorno dalla Ciudad Perdida. Ma siccome è da troppe ore che non rischiamo la pelle, decidiamo di fare il bagno in una spiaggia con tanto di cartelli che vietano la balneazione. I cavalloni sono troppo irresistibili per ignorarli.

Usciamo dall’acqua ridendo e con il fiatone, e finalmente li vediamo arrivare.

«Abbiamo riconosciuto il tuo pareo!»
«Ormai è il mio pezzo forte. Sta in piedi da solo.»

Scatta il momento reunion. Ci abbracciamo tutti, salati e sudati.

«Quanto vi siete abbronzati, che stronzi!»

A pranzo ci fermiamo al chioschetto dei localss, dove servono il miglior arroz de camarones del viaggio. Certo, è meglio non soffermarsi sulle norme igieniche: le lattine di birra galleggiano in un freezer senz’energia, rinfrescate a blocchi di ghiaccio lanciati dentro alla bell’e meglio. Ma chi se ne importa.

Fino alle quattro del pomeriggio non c’è corrente né acqua corrente, quindi ci arrangiamo con secchiate di fortuna per darci una lavata sommaria. Poi si riparte per il trek verso i cancelli del parco. Da lì, ci aspettano tre ore di trasferimento verso Riohacha. Ovviamente, siamo in 18 su un mezzo omologato per 10. Perché sarebbe troppo semplice farlo comodi.

Riohacha, capitale del dipartimento di La Guajira, si affaccia placidamente sul Mar dei Caraibi, e quando ci arriviamo è già buio. Ma, come si dice, la fame non conosce orari, così decidiamo di esplorare comunque il lungomare in cerca di cibo.

Il Malecón è un mix vivace di bancarelle e colori: i venditori ambulanti offrono snack di dubbia provenienza ma irresistibile profumo, e gli artigiani Wayuu espongono le loro coloratissime borse “mochilas”. L’oceano? Beh, teoricamente c’è, lo sappiamo perché lo sentiamo frangersi da qualche parte nell’oscurità. Vista spettacolare? Forse sì, forse no, ma con lo stomaco vuoto si lascia spazio all’immaginazione.

La cucina locale è un tripudio di sapori caraibici con un tocco di tradizione indigena. Nel ristorantino senza pretese che, nonostante l’ora tarda e il nostro rumoroso gruppo di 16 persone, decide comunque di accoglierci, il menù offre delizie come patacón con queso (fette di platano fritto sormontate da una generosa dose di formaggio) e una serie di piatti a base di frutti di mare. Non sarà un ristorante stellato, ma si affaccia sul mare, e accompagnare il tutto con una Polar venezuelana o una birra locale ci fa sentire nel posto giusto.

Riohacha è più che altro un punto di partenza, un trampolino per scoprire le meraviglie naturali di La Guajira. Da qui si organizzano escursioni verso le mete iconiche della regione: il deserto che sembra infinito, Cabo de la Vela, il suggestivo Faro di Punta Gallinas, e altre località remote che fanno sentire in capo al mondo. Con un aeroporto e collegamenti diretti per Santa Marta e Cartagena, Riohacha è un crocevia strategico per chiunque voglia esplorare questa terra unica.

Riohacha non sarà una destinazione di lusso o avventurosa come altre in Colombia, ma offre un’esperienza autentica e tranquilla che vale la pena di includere nel proprio itinerario.

Mi sono appena riunita al mio zainone, con qualche panno miracolosamente ancora pulito, e già dobbiamo separarci di nuovo: lui resterà a Riohacha, mentre io mi avventurerò nel deserto della Guajira per due giorni. Il problema? Far entrare una quantità di roba del tutto incompatibile con la capienza dello zaino piccolo. Una sfida logistica che farebbe impallidire un esperto di Tetris.

L’idea di dormire finalmente in un letto vero, dopo giorni di amache e sacchi a pelo, mi emoziona così tanto… che non dormo affatto.

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