Dopo che avevo rischiato di annegare in una sorgente termale e numerose altre ore di trasferimento, quando ormai era già sera, siamo arrivati in una specie di comune hippie. Un sacco di capannine con il tetto di paglia e murales colorati sui muri, il tutto sopra un bel praticello verde. L’acqua calda non c’era (nessuna sorpresa) e nemmeno il Wi-Fi (che invece è sempre ovunque in Indonesia — loro magari non hanno le scarpe, ma i cellulari sono più fighi del mio).
Il capo della comune? Un tipo molto basso, con i capelli lunghi fino all’osso sacro e una maglia nuova fiammante di Bonucci, appena traferito al Milan. Quindi lui probabilmente usava i giga.
Nonostante la discutibile scelta di outfit, Mr. Bonucci sa il fatto suo. A cena ci ha servito melanzane in salsa di soia, pomodori, piattoni infiniti di mie goreng (che avrei voluto non finissero mai), e otto pesci alla griglia che, giuro, non erano solo buonissimi perché avevamo fame.

Il programma prevede di partire di buon mattino per lo snorkeling nel Parco Nazionale delle 17 Isole Riung («Andre, ma ce la facciamo a vederle tutte e 17?»), per poi tornare verso le tre, lavarci via il sale e affrontare l’ultimo trasferimento in pullman, di durata imprecisata, fino a Kelimutu. Ovviamente Mr. Bonucci ci avrebbe procurato le pinne.
«Ehi, segna anche le mie. Devi scrivere: Silvia, 40.»
«Di febbre?»
Non c’era un 40, ma Mr. Bonucci aveva rimediato. Mentre stavamo guardando le prove libere della Moto GP, seduti per terra nel salotto di qualcuno con cinque o sei local, un suo assistente era tornato in scooter con le pinne per me, trovate chissà dove.

Le 17 Isole (in indonesiano Pulau Tujuh Belas) sono un gruppo di isole al largo della costa settentrionale di Flores. Fanno parte del Parco Nazionale delle 17 Isole Riung. Il nome potrebbe far pensare che ci siano esattamente 17 isole, ma in realtà il numero è un simbolo nazionale: si riferisce al 17 agosto, giorno dell’indipendenza indonesiana.
Queste isole sono famose per le loro acque cristalline, barriere coralline incontaminate e le spiagge deserte. L’arcipelago è un paradiso per gli amanti dello snorkeling e del diving, con una grande varietà di pesci tropicali, coralli colorati e anche qualche tartaruga marina. È anche possibile avvistare pipistrelli giganti (volpi volanti) che popolano alcune delle isole.
L’atmosfera è tranquilla e lontana dalle rotte turistiche più battute. Riung, il villaggio principale sulla costa, è il punto di partenza per esplorare le isole. Noleggiando una barca, si può spostarsi da un’isola all’altra, godendo del paesaggio vulcanico e delle lagune nascoste, perfette per nuotare e rilassarsi in pace.

Sono sempre l’ultima a tuffarmi, ma l’acqua è splendida. Credo che non si possa rimanere arrabbiati molto a lungo quando si è in Indonesia. I miei problemi principali in questo momento sono: capire quando sputare nella maschera per non farla appannare («Comunque, se vuoi, vendono uno spray apposta a 15 euro.» «La maschera l’ho pagata 7, mi sembra eccessivo»), pinnare controcorrente, e prendere il sole sul telo di qualcun altro, visto che il mio è rimasto a Sumba.
Per pranzo, Mr Bonucci aveva provveduto con la solita vasca di riso basmati e del pesce fresco alla griglia. E mi aveva cazziata.
«Tu non mangi più?»
«No, grazie, ho mangiato tantissimo. Era tutto buono.»
«Tu mangi ancora.»
«Ah, ok.»
Siamo davvero rientrati alle 15. Più o meno. Per fare prima, mi sono lavata a secchiate in giardino, con “Powerful” dei Major Lazer in sottofondo e un pubblico di indonesiani che mi osservava come se fossi un’altra prova libera. Poi abbiamo caricato gli zaini e via, verso l’ultima tratta di pullman: sei (o quattro? O nove?) ore.
Lungo la strada ci siamo fermati in un baretto sulla spiaggia per prendere patatine fritte. Il tramonto era mozzafiato e in sottofondo ci hanno messo la versione indonesiana di Despacito.

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