È il primo vero giorno di trasferimento pesante via terra, alla scoperta di Flores. Il nostro mezzo, un pulmino truccato, ospita noi, l’autista, la guida e due ragazzi indonesiani dai compiti non ben chiari, ma tra cui sicuramente c’è quello di caricare gli zaini sul tettuccio (dentro non ci stanno) e legarli in modo approssimativo con un telo e delle funi. Ah, e anche quello di usare le gambe per bloccare le porte, che non si chiudono bene (anzi, non si chiudono proprio).
Il momento epico arriva quando mettiamo Gigi D’Agostino e, in perfetto stile anni ’90, ci alziamo a ballare. Né l’autista, né la guida e tantomeno i loro aiutanti ci riprendono, anche perché stiamo viaggiando a 70 all’ora su uno sterrato con le porte aperte.

L’esterno del pulmino è super curato, con disegni, cerchioni aggressivi, tre coppie di tergicristalli Sparco, ciglia lunghissime e un sacco di fanali. L’interno, però, è un’altra storia: i sedili sembrano messi a caso, con uno enorme da quattro nel mezzo, quelli dietro non fissati che poggiano direttamente su tre taniche di benzina di scorta. Le porte rotte e un controsoffitto di plastica con disegni di palme completano il quadro. Ma l’impianto audio è una bomba: quando lo accendono, tutto vibra, e i bassi li senti fin dentro le viscere.
L’autista è un maestro delle manovre complicate, guida nel buio più totale e lancia il suo mezzo a tutta velocità su strade sterrate e tornanti senza battere ciglio. Noi, invece, siamo scomodissimi. Però siamo così stanchi che, in un modo o nell’altro, abbiamo tutti sviluppato l’abilità di addormentarci ovunque, sfruttando ogni momento utile… anche se io ci riesco decisamente meno degli altri.


Flores, nell’arcipelago delle Piccole Isole della Sonda, è famosa per la sua natura selvaggia e la straordinaria diversità culturale. Il nome, che in portoghese significa “fiori”, risale all’epoca coloniale, anche se non è solo la flora rigogliosa a rendere quest’isola speciale.
Il vero simbolo di Flores sono i suoi vulcani, come il Kelimutu, famoso per i tre laghi craterici dai colori cangianti, spesso considerati una delle meraviglie dell’Indonesia. La nostra prima tappa, però, è Ruteng, una cittadina tranquilla e immersa tra colline verdi. Situata a circa 1.100 metri sul livello del mare, Ruteng è una fermata quasi obbligata per chi esplora l’isola, trovandosi lungo la strada tra Labuan Bajo e il Kelimutu.
La zona intorno a Ruteng è famosa per le sue spettacolari risaie a terrazza, in particolare quelle a forma di ragnatela chiamate lingko, tipiche del popolo Manggarai. Queste risaie sono disposte in modo circolare, con linee che convergono al centro, creano un effetto visivo unico, che rappresenta il sistema di suddivisione dei terreni agricoli tradizionale della comunità locale.


La tappa successiva è un villaggio di cinque o sei case, dove distillano artigianalmente l’arak, un liquore tradizionale diffuso in diverse regioni del Sud-est asiatico e del Medio Oriente. In Indonesia, e in particolare nelle isole come Bali e Flores, l’arak è distillato principalmente dal vino di palma o dal riso fermentato. È un alcolico chiaro e forte, simile alla grappa o al rum, e può avere una gradazione alcolica molto elevata.
Nelle aree rurali, viene distillato in condizioni casalinghe, utilizzando attrezzature semplici come stufe e tubi di bambù. Nonostante la sua semplicità, l’arak è molto popolare e viene consumato in varie occasioni, spesso come bevanda da condividere in compagnia. In alcuni casi, è anche aromatizzato con erbe o spezie locali. È bene ricordare che, per la sua produzione non regolamentata, può variare molto in qualità e sicurezza (quindi, il rischio di rimanere ciechi non è mai da escludere).
Un ragazzo, che come molti indonesiani dimostra un’età indefinibile tra i 15 e i 45 anni, si arrampica a piedi nudi sulle palme da dattero e raccoglie il vino in secchi, che poi viene distillato con stufe non esattamente pulitissime, ma conformi a tutte le norme sanitarie dell’entroterra rurale di Flores.

All’inizio, il liquido è biancastro, torbido e zuccherino, ma alla fine diventa limpido e incolore, praticamente una grappetta da circolino. Abbiamo diverse foto che testimoniano le nostre facce schifate mentre beviamo da una tazza da tè con fiori gialli, ma, giuro, non era così male.
Quattro tizi, che sembravano usciti da Narcos e stavano guardando una telenovela su un televisore al plasma in veranda, hanno versato un po’ di arak su un tavolino di plastica azzurra e gli hanno dato fuoco con un accendino. Non so cosa volessero dimostrare, ma facevano colore. Ora so che l’arak fa fiamme blu.
Alla fine, il liquore viene imbottigliato in bottiglie di plastica riciclate, prive dell’etichetta della minerale, e venduto a bordo strada. Enjoy.

Dopo non si sa quante ore – chi dice due, chi dice quattro – passate a viaggiare nel buio più totale, in mezzo al nulla, abbiamo iniziato a fare ipotesi su quanto sarebbe stato pessimo il posto dove avremmo dormito e abbiamo cominciato a sondare il terreno con Andrea.
«Nelle recensioni degli altri gruppi dicono che è brutto.»
«Ok, ci saranno sicuramente le pulci nei letti.»
«Sacco lenzuolo e via.»
«Dimentichiamoci l’acqua calda.»
«Di sicuro ci sono le blatte.»
«A me non disturbano, basta dormire.»
«Potendo scegliere, cosa preferisci: blatte, acqua calda o letto pulito?»
«Blatte e letto pulito. L’acqua calda vabbé.»
«No, sei matto? Io dico acqua calda, blatte e il letto vabbé, tanto ho il sacco lenzuolo.»
«Aspetta, quindi stiamo considerando le blatte una cosa positiva?»
Abbiamo continuato a discutere se preferivamo le blatte, l’acqua calda o il letto pulito fino a quando siamo arrivati.
«Oddio, guardate! Nella stanza di Giulia e Vale c’era uno scorpione gigante!»
«Ragazzi, guardate! C’è un BOILER!»
«Non puliscono da trent’anni qui dentro.»
«Sì, ma c’è il boiler! Vuol dire doccia calda!»
«Scusa, mettiti sotto la luce… sai che sei tutta coperta di terra? Eri seduta vicino alla porta del pullman? Hai anche il segno degli occhiali.»
«Sì, ma tanto c’è il boiler, capito?»

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