Sumba inizia a piacermi. Stiamo prendendo una piega molto gipsy: teniamo quasi sempre le porte delle nostre stanze aperte, passiamo da una all’altra per lavarci i denti e scambiarci le cose. La sera, ci ritroviamo nel patio a chiacchierare e divertirci fino a tardi. La colazione è rinforzata con le nostre scorte personali di biscotti e barattoli di Nutella. Sul pullman, abbiamo creato un impianto audio improvvisato con cinque dispositivi di cinque persone diverse, e ci godiamo la musica.

La nostra prima tappa è una diga, dove alcune donne lavano i panni. La Diga Kambaniru (Kambaniru Dam) si trova vicino a Waingapu, nella parte orientale dell’isola, ed è utilizzata principalmente per l’irrigazione e la gestione dell’acqua per le aree agricole circostanti.
Poi ci dirigiamo verso una laguna che sembra uscita da un film su Peter Pan, dove i ragazzi indonesiani si tuffano indossando i jeans. Le mie mani e i miei piedi, con le unghie smaltate di nero, brillano dello stesso pallido colore della sabbia. La Weekuri Lagoon è un’incantevole laguna naturale nella parte occidentale dell’isola, famosa per le sue acque cristalline e verdi, circondate da formazioni rocciose. Weekuri è un luogo perfetto per nuotare e rilassarsi, ed è uno dei punti più pittoreschi di Sumba.

Nel pomeriggio, visitiamo un paio di villaggi, offrendo un sacchettino di bacche allucinogene e qualche migliaio di Rupie come “pizzo”. Un tipico villaggio sumbanese, soprattutto nelle aree rurali, è un luogo che sembra quasi sospeso nel tempo. Le case tradizionali, chiamate uma mbatangu, hanno una struttura in legno con tetti di paglia alti e ripidi, spesso a forma di torre. Queste abitazioni sono costruite su palafitte per proteggere dagli animali e dall’umidità, e il tetto conico rappresenta una connessione tra il mondo terreno e quello spirituale.
Al centro del villaggio si trova solitamente una grande piazza dove si svolgono cerimonie importanti, come il culto dei morti e i rituali animisti. Le tombe megalitiche, spesso scolpite con disegni intricati, dominano lo spazio: enormi lastre di pietra decorate con simboli di potere e ricchezza, ricordano l’importanza degli antenati e la tradizione funebre.

Subito ci circondano una miriade di bambini che ridono e chiedono dei selfie. I ragazzi più grandi sfrecciano sulle moto da cross; il bullo del gruppo è in sella a un Husqvarna rosso e blu, con un machete infilato nei jeans: la punta spunta da uno strappo sul ginocchio. Gli abitanti del villaggio vestono ancora con abiti tradizionali, come i sarong e le sciarpe tessute a mano chiamate ikat, che variano a seconda del gruppo etnico.
La vita quotidiana è scandita dal lavoro nei campi, soprattutto coltivando riso e allevando bestiame, ma anche dalle numerose celebrazioni, che includono sacrifici di animali per onorare gli antenati. I ritmi sono lenti: i bambini giocano nelle strade di terra battuta, mentre gli adulti lavorano insieme o si riuniscono per discutere affari di famiglia o preparare feste. Non è raro vedere uomini con un machete infilato nei jeans o masticare continuamente una sirih pinang (la tradizionale noce di betel), che tinge di rosso la bocca e i denti e dilata le pupille.

Nel tardo pomeriggio, ci dirigiamo verso il mare. Per scendere in una caletta di sabbia bianca, dobbiamo arrampicarci su rocce scure e affilate. Le barche colorate dei pescatori iniziano a partire, e sembrano tutti euforici, come se stessero per andare a ballare al Cocoricò di Riccione. È un’esplosione di arancio e blu; ci tuffiamo tutti insieme e iniziamo a giocare a fare le torrette. Assistiamo a un tramonto ultra coreografico con le bottiglie di Bintang in mano, salati, umidi e spettinati. Ho tolto il sopra del costume, e i miei capelli bagnano la maglietta dei Nirvana. Non me ne frega niente.
Decidiamo di fermarci direttamente per cena, dopo che abbiamo abbattuto un palo della luce con il pullman, causando un blackout in quattro case. Il ristorante è carino, mentre noi sembriamo degli scappati di casa: in pantaloncini e ciabatte, combattiamo l’escursione termica della sera con k-way e sarong. Ma, sinceramente, non me ne frega niente.


Leave a comment