Ci svegliamo alle quattro del mattino, saliamo sul pullman che è ancora buio. Incredibilmente, c’è traffico lo stesso. Ci mettiamo almeno un quarto d’ora per superare carretti stracolmi di verdure, in tripla fila, diretti al mercato. Affondo nella giacca, cappuccio tirato su, Radiohead in cuffia. Provo a dormire, ma niente.

Dopo due ore siamo finalmente arrivati alle Risaie di Tegallalang, con le loro terrazze verdi che si arrampicano eleganti lungo le colline. L’aria è fresca, i colori sembrano ancora più intensi sotto la luce del mattino. Passeggiamo lungo i sentieri che attraversano le risaie, dove i contadini sono già all’opera: raccolgono riso, portano ceste in equilibrio sulla testa o trasportano fascine sugli scooter. All’improvviso, spuntano dal nulla sei tizi dall’aspetto discutibile, in giacche militari, su moto da cross, armati di fucili semiautomatici. Mi sarebbe piaciuto fotografarli, ma è successo tutto così in fretta, e forse non era proprio il caso.

Facciamo colazione nell’unico bar che c’è: il menù offre tè, caffè, frutta e pane tostato. Qualcuno tira fuori un barattolo di Nutella e lo fa girare. «Ma vi rendete conto che stiamo facendo colazione su un terrazzo vista risaia?» – «Cazzo, sì che me ne rendo conto.»
Dopo aver mangiato qualcosa di discutibile all’aeroporto di Bali (che, detto tra noi, è sorprendentemente carino per essere un aeroporto), prendiamo un volo interno verso Sumba su un aereo minuscolo. Sumba è un’isola dell’Indonesia situata nella provincia delle Isole della Piccola Sonda, a est di Bali e a sud di Flores. Conosciuta per le sue tradizioni culturali uniche e il fascino rude del suo paesaggio, Sumba è una destinazione affascinante per chi cerca un’esperienza più autentica e lontana dal turismo di massa.

La cultura di Sumba è caratterizzata da un forte legame con le tradizioni animiste, anche se ci sono comunità cristiane e musulmane. I Sumban, gli abitanti dell’isola, sono famosi per i loro rituali funebri elaborati, che includono danze, canti e sacrifici di animali. Le cerimonie possono durare giorni e sono occasioni di grande significato sociale. Così, appena atterrati, veniamo subito invitati a un funerale.
Un’ora di pullman in mezzo al nulla, e ci ritroviamo in un villaggio affollatissimo. Le persone continuano ad arrivare dai dintorni, in motorino, con polli legati a testa in giù al manubrio, guidando carretti o trascinando buoi. L’atmosfera è caotica e surreale.

Le cerimonie funebri a Sumba possono durare giorni o anche settimane e sono considerate uno degli eventi più significativi nella vita di una comunità. La morte non è vista come una fine, ma come una transizione verso un’altra vita. Dopo la morte di una persona, il corpo viene solitamente tenuto in casa per un periodo prolungato, durante il quale la famiglia e la comunità vegliano il defunto. Questo periodo di veglia permette ai familiari di raccogliere fondi e organizzare la cerimonia funebre, che può richiedere tempo e risorse considerevoli.
Durante la cerimonia, vengono sacrificati animali, come bufali e maiali, in segno di rispetto e per accompagnare l’anima del defunto nell’aldilà. Il numero di animali sacrificati è spesso legato allo status sociale della persona deceduta e alla ricchezza della famiglia. Più animali vengono offerti, maggiore è l’onore conferito al defunto. Le cerimonie includono rituali di purificazione per il defunto e la famiglia. Questi rituali possono comportare abluzioni e l’uso di piante sacre. La purificazione è vista come un modo per garantire che l’anima possa entrare nell’aldilà senza ostacoli.

Il villaggio sembra una mattanza. Per terra ci sono enormi pozze di sangue e feci, mentre sulla sinistra un gruppo di uomini divide la carne con i machete, dall’altra parte, molte teste di bufalo giacciono abbandonate, e un bambino le stuzzica con un bastone. Alcuni ragazzini saltano su una pelle scuoiata; il più piccolo scivola e cade nel sangue e nella merda, mentre gli altri ridono. Lo guardo e penso che potrei essere io.
Ogni tanto, qualcuno attraversa il villaggio con le mani piene di carne fresca o budella gocciolanti. Un uomo si avvicina e mi chiede in inglese da dove vengo e se mi piace Sumba. Gli rispondo che sono appena arrivata, e questa è la prima cosa che vedo. Sembra un po’ Cannibal Apocalypse, ma non glielo dico. Magari non l’ha neanche visto.
“Ti piace?”
“Oh beh… in Italia non facciamo funerali così.”
“Sì, ma ti piace?”
“Ehm… è… particolare.”

Mi invitano a entrare nella casa del defunto, dove lo stanno vegliando. Non ne ho voglia, ma insistono. Dentro è buio, e ci sono almeno quaranta donne silenziose con il morto, disteso sotto un panno. Il loro occhi sono liquidi e nerissimi. Fuori, tutti vogliono stringerci la mano e scattare dei selfie con noi. Gli uomini masticano le bacche della pianta di khat, che hanno proprietà psicoattive che li mandano su di giri e che colorano la loro saliva di un rosso brillante.
Qualcuno chiede: «Ce ne andiamo?», e io non posso fare a meno di pensare che magari non ci lasceranno uscire, proprio come in un film horror. Un gruppo di uomini ci chiama; il capo, che assomiglia a un santone con un occhio solo, mi parla in indonesiano. Proprio in quel momento, Andrea annuncia: «Stasera siamo invitati a cena da Mr. Jack». Voltandomi, vedo Mr. Jack che sta riempiendo il baule della sua macchina di carne sacrificata per il defunto. Mentre aspettiamo che finisca, ci mettiamo a insegnare lo schiaffo del soldato a un gruppo di ragazzini, che lo imparano al volo.

A Kerewe Beach, il cielo è nuvoloso, ma i colori sono comunque pazzeschi, una palette di rosa e grigio metallizzato. Gli adulti hanno appeso piccoli tonni agli scooter, e ci sono bambini con cui giochiamo a prenderci. Una bambina di nome Angel mi dice che sono bella.
La guest house dove alloggiamo è esattamente come me lo aspettavo, e un po’ come tutto il resto sull’isola: wild. La nostra camera, in particolare, non ha il lavandino e la doccia non funziona. Non c’è acqua calda. Dobbiamo chiedere ospitalità alla camera accanto per lavarci i denti e sciacquarci, tirandoci addosso secchiate di acqua gelata.
Per cena, Mr. Jack ha messo insieme dei tavolacci scarabocchiati e panche da festa degli Alpini per farci stare tutti nel suo salotto. Il menù supera le aspettative: la carne è tenera e saporita e non bisogna sforzarsi troppo per mangiarla, e le bevande sono decisamente in sovrannumero; è chiaro che tutti vogliono fare buona impressione sugli unici visitatori.
Insistiamo per fare due passi, ma ci avvertono di non allontanarci dal centro abitato. Siamo in cinque o sei, e cerchiamo inutilmente delle birre. Troviamo un gruppo di motociclisti seduti intorno a un fuocherello nel cortile del meccanico e un cimitero un po’ inquietante. Ovviamente ci perdiamo. Dalla campagna arriva un ragazzo gentile in motorino che ci indica la strada per tornare. L’impressione è che tutti sappiano che ci siamo noi in giro a piedi.

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