giorno 3: UBUD

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Mi sveglio con un pensiero chiaro: odio i bambini e i galli, rappresentanti ufficiali della categoria di esseri viventi più fastidiosi, quelli capaci di urlare alle sei del mattino. Nemmeno le scimmie si permettono tanto.

Il secondo pensiero va ai pancake balinesi sottili, impregnati di una sostanza indefinita che ha un vago sapore di limone. Mi aspettano, unti e impassibili. Si chiamano Dadar Gulung, e sono leggermente diversi dai classici pancake. Queste crêpe sottili sono fatte con foglie di pandan e ripiene di cocco grattugiato e zucchero di palma: la colazione dei campioni.

Per il secondo giorno consecutivo ho sbagliato completamente outfit: non riesco a capire se fa freddo o caldo, ma l’umidità, già soffocante dal mattino presto, non lascia dubbi sul perché qui sia tutto così incredibilmente verde.

Reena Yadav via Unsplash

La nostra prima tappa è Goa Gajah, la famosa “Grotta dell’Elefante”, uno dei siti sacri più antichi di Bali, a pochi chilometri da Ubud. È circondata da una foresta tropicale talmente rigogliosa che sembra di entrare in un giardino incantato, con ruscelli che corrono tra i sentieri. Nonostante il nome, di elefanti nemmeno l’ombra (purtroppo): pare che il nome derivi da antiche scritture che parlavano di un fiume vicino, il Lwa Gajah.

Il sito risale al IX secolo ed era usato dai sacerdoti induisti per meditare. L’ingresso della grotta è decisamente scenografico: una faccia demoniaca scolpita nella roccia con la bocca spalancata, che devi attraversare come se fosse l’ingresso di un parco a tema inferno. Le sculture, si dice, sono lì a tenere lontane le forze maligne, giusto per stare tranquilli. Dentro, ci sono nicchie scavate nella pietra dove un tempo riposavano statue di divinità induiste e buddiste, perché qui a Bali non si fanno problemi con le fusioni religiose.

Gunung Kawi,il secondo sito che visitiamo, è immerso tra le risaie e la foresta tropicale nella valle del fiume Pakerisan, a circa 20 chilometri da Ubud. È un antico complesso di templi e santuari scolpiti nella roccia, che risale all’XI secolo, ed è dedicato alla famiglia reale di Udayana.

Come in tutti i luoghi sacri, per accedere è necessario avere le gambe coperte, quindi all’ingresso un signore gentile vestito di bianco ci aiuta a legarci in vita dei sarong colorati, che restituiremo più tardi.

“Il mio sarong puzza di cane bagnato”
“Cane bagnato?”
“A Roma non si dice?”

Nick Fewings via Unsplash

Qui ci aspetta una scalinata tanto ripida quanto panoramica: risaie a terrazza e palme che si muovono al vento, il tipico scenario balinese da cartolina. Io nel dubbio mi sciolgo un Polase in una bottiglietta d’acqua. L’atmosfera sa di Tomb Raider: i dieci grandi candi (santuari) sono scolpiti direttamente su una parete rocciosa, ognuno alto circa sette metri. Questi monumenti furono costruiti in onore di re e regine, e si dice che alcuni siano tombe commemorative.

L’ambientazione è quasi surreale: il suono dell’acqua che scorre dal vicino fiume e il verde rigoglioso creano un contrasto interessante con la solennità delle sculture nella pietra. Il mix tra natura e storia, tra le sculture nella roccia e l’incredibile paesaggio, ci fa sentire come se stessimo esplorando un segreto nascosto (cosa che non ci fa comunque smettere di ridere e scherzare). La pace e la tranquillità che si respirano qui sono una bella pausa dal caos e dal traffico balinese, anche se per arrivarci bisogna sudare un po’.

Tutti belli pezzati, ci spostiamo al Tirta Empul, uno dei templi più importanti dell’isola, circa 30 chilometri a nord di Ubud. Fondato nel 962 d.C., è famoso per le sue sorgenti sacre, che si dice abbiano poteri purificatori. Il nome “Tirta Empul” significa letteralmente “acqua che zampilla” in indonesiano, e il tempio è dedicato proprio a Vishnu, il dio dell’acqua.

Nick Fewings via Unspalsh

Il complesso del tempio è un misto di architettura tradizionale balinese e splendidi giardini, il tutto circondato da una natura lussureggiante. Ma il vero spettacolo sono le piscine sacre, dove i visitatori possono immergersi e partecipare a rituali di purificazione. Ci sono dodici vasche, ognuna con una sorgente d’acqua fresca che proviene direttamente dalla terra: gli indonesiani e i turisti si mettono in fila per bagnarsi, mentre i canti e le preghiere riecheggiano nell’aria.

Tirta Empul ha anche una grande importanza storica, essendo stato un rifugio per i reali balinesi e un luogo di incontro per cerimonie e celebrazioni. La bellezza e la spiritualità del tempio, insieme al suo significato culturale, lo rendono una tappa imperdibile per chi visita Bali, soprattutto per chi cerca un contatto autentico con la cultura e le tradizioni locali.

Nick Fewings via Unsplash

L’ultima tappa è l’incantevole villaggio di Penglipuran. Qui sembra che il tempo si sia fermato: il villaggio è circondato da risaie a terrazza e colline verdi e le case tradizionali balinesi, con le facciate scolpite con motivi intricati, sono disposte su una lunga strada principale, come ad accogliere i visitatori.

Prorprio all’ingresso del villaggio, c’è il Tempio di Pura Penataran. Qui si possono ammirare splendide sculture e l’architettura tradizionale balinese. Inoltre, Penglipuran è conosciuto per le sue celebrazioni culturali, come il Galungan e il Kuningan, durante le quali gli abitanti decorano le strade e i templi con offerte e festeggiamenti.

mark chaves via Unsplash

Anche se ci aspetta una partenza alle quattro del mattino per visitare le Risaie di Tegallalang, che abbiamo dovuto saltare il primo giorno a causa del pullman in panne, dopo cena decidiamo di continuare a esplorare le vivaci stradine di Ubud. C’è una bella atmosfera, e i balinesi che incontriamo sembrano impazienti di scattarsi dei selfie con noi. Alla fine, cediamo al loro entusiasmo e ci lasciamo fotografare, divertendoci a immaginare che fine faranno queste foto memorabili.

Christoph Theisinger via Unsplash

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