giorno 2: UBUD

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Bernard Hermant via Unsplash

Mi svegliano all’alba il canto insistente di un gallo e quelli che sembrano duecento bambini che schiamazzano. Poi mi ricordo dove sono. È da una vita che aspettavo di essere qui. Non vedo l’ora di aprire la finestra.

Fuori, un patio rigoglioso, pieno di piante. Per colazione, tè fumante, frutta fresca e pancake.

Il nostro autista sembra avere novant’anni, per gamba. Il traffico di Ubud è un delirio: una Milano all’ora di punta, ma con carretti e una quantità di scooter che non avrei mai immaginato.

Ubud è il cuore culturale e spirituale di Bali, incastonata tra risaie terrazzate, foreste e colline lussureggianti nell’entroterra dell’isola. Conosciuta come un centro di arte, yoga e benessere, Ubud attira viaggiatori da tutto il mondo.

La guest house confina con una scuola e un tempio, ma del resto c’è una altissima concentrazione di templi a Bali. Siamo anche a pochi passi dal Sacro Bosco delle Scimmie: una riserva naturale popolata da centinaia di macachi, dove sorgono templi antichi immersi nella giungla.

I balinesi hanno una passione sfrenata per gli scooter: li guidano con nonchalance, rigorosamente in ciabatte e spesso in tre. Per le manovre difficili o per spostare i carretti, la nostra cariatide ha un piccolo aiutante di età imprecisata tra i 16 e i 36 anni che scende a dargli indicazioni o a spostare carretti e scooter in tripla fila, anche personalmente, se è il caso. Abbiamo deciso che sono nonno e nipote.

Appena fuori Ubud, il pullman si ferma con un cigolio poco rassicurante. I nostri eroi assicurano che lo aggiusteranno/sostituiranno/verrà un meccanico entro un quarto d’ora. Passano invece due ore e mezza abbondanti. Finalmente, eccoci al primo tempio del tour: il famosissimo Pura Ulun Danu Bratan (grazie, copia e incolla).

Nick Fewings via Unsplash

Il Pura Ulun Danu Bratan è uno dei templi simbolo di Bali: sulle rive del Lago Bratan, a circa 1.200 metri sul livello del mare, risale al XVII secolo ed è dedicato a Dewi Danu, la dea dell’acqua, dei laghi e dei fiumi. Il tempio sembra galleggiare sull’acqua, soprattutto durante la stagione delle piogge.

Il lago è circondato da montagne verdi e rigogliose, che rendendo l’atmosfera quasi mistica, specialmente quando le nebbie si alzano sull’acqua. Tira un vento gelido e ci sono piccoli pedalò a forma di cigno, che danno al tutto un’aria un po’ surreale. Dico a tutti che secondo me sembra un po’ di essere a Verbania, ma in realtà sono (molto) felice.

Più tardi, nel pomeriggio, ci spostiamo a Tanah Lot. Il tempio è spettacolare, arroccato su un isolotto roccioso a picco sull’oceano, con le onde che sembrano abbracciarlo. Tanah Lot è uno dei templi più famosi e fotografati di Bali.

Il nome “Tanah Lot” significa “terra nel mare” e tempio è dedicato a Dewa Baruna (o Bhatara Segara), la divinità marina balinese che protegge l’isola dagli spiriti maligni provenienti dall’oceano. La sua storia risale al XVI secolo, quando il sacerdote Dang Hyang Nirartha, affascinato dall’energia mistica del luogo, decise di erigere un tempio dopo aver passato la notte sulla roccia.

Tanah Lot è accessibile solo durante la bassa marea, quando la terraferma è collegata da un istmo all’isolotto, durante l’alta marea invece il tempio sembra letteralmente galleggiare sull’acqua. L’accesso al tempio è riservato ai fedeli, ma la sua bellezza e la vista sull’oceano attirano turisti da tutto il mondo.

I dintorni pullulano di mercatini, caffetterie e ristoranti, e questo trasmette una sensazione leggermente “commerciale”. Però, il vero fascino di Tanah Lot si rivela quando il sole tramonta, tingendo il cielo di arancione, rosso e viola. Per un attimo, mi scordo della folla e di quell’atmosfera un po’ troppo “souvenir e selfie stick”.

Scendiamo in spiaggia, dove finalmente mi libero degli scarponi da trekking, e metto i piedi nell’acqua tiepida. Subito arriva un’onda a infradiciarmi i pantaloni, ma non importa. Ci godiamo il tramonto seduti ai tavolini di un bar, con diciannove Bintang appena ordinate. È uno di quei momenti da riempirsi gli occhi, di quelli che pensavo di vedere solo nei poster patinati o come sfondi da desktop con colori assurdi. E invece, eccolo lì, davanti a me.

Dopo cena, non si sa bene come, ci ritroviamo a fare serata con ancora addosso i pantaloni da trekking. Tutto inizia con due giri di rainbow shots (di cui il verde, ne sono sicura, era collutorio), e finisce con noi che balliamo le peggiori hit estive sulla pista. A un certo punto, io sono perfino senza maglietta, e la cosa più incredibile è che non siamo nemmeno ubriachi.

Alle tre di notte, siamo ancora attorno a un tavolo da biliardo, facendo girare qualche bottiglia di Bintang come se non dovessimo svegliarci quattro ore dopo per affrontare la morte certa sulle scalinate di qualche altro tempio indù. E, onestamente, tutto mi sembra assolutamente giusto e fighissimo.

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