Il Parco Nazionale della Foresta Impenetrabile di Bwindi è uno di quei luoghi che ti lasciano a bocca aperta. Dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1994, si estende per più di 330 chilometri quadrati di foresta pluviale tropicale, una delle più antiche di tutta l’Africa, al confine con il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo.
Il nome “impenetrabile” non è un’esagerazione: il parco si trova su un terreno montuoso, con pendii ripidissimi e una vegetazione così fitta che sembra chiudersi su di te. Camminarci dentro è una sfida – tra sentieri scoscesi e fangosi, bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi – ma la bellezza selvaggia del luogo rende ogni passo un’avventura.
Le vere star del parco sono i gorilla di montagna, una specie a rischio critico di estinzione. Bwindi ospita circa la metà della popolazione mondiale di questi incredibili animali, motivo per cui è una delle mete più ambite per chi sogna di fare il “gorilla trekking”. Vederli da vicino, nel loro habitat naturale, è un’esperienza che ti resta impressa per sempre. Alla fine, il momento che tutti aspettavamo è arrivato.

Io, nel frattempo, mi trascinavo dietro una combo letale di asma allergica e bronchite (perché sì, le docce fredde mi avevano proprio forgiata). Ogni colpo di tosse era un incubo: temevo che da un momento all’altro mi avrebbero vietato di fare il trek.
Non è permesso avvicinarsi ai gorilla di montagna se si ha anche solo un raffreddore o un’influenza. Come molti primati, i gorilla sono estremamente vulnerabili alle nostre malattie. Il loro sistema immunitario non è abituato a combattere virus e batteri che per noi possono essere comuni o banali, e le autorità sono molto rigorose nel controllare la salute dei visitatori, proprio per proteggere queste creature.
La mattina, alle sei, i monti erano avvolti nella nebbia, proprio come nel film con Sigourney Weaver. L’atmosfera era surreale.

Ogni giorno, solo quaranta fortunati possono vedere i gorilla. All’alba, un team di tracker parte per localizzare le famiglie più abituate agli umani. Poi ci dividono in gruppi da otto, facciamo un briefing (perché in Uganda c’è un briefing per qualsiasi cosa!) e ci consegnano un bastone che presto diventerà il nostro migliore amico. E via, si parte.
Si cammina fino a trovare i gorilla. Molti si arrendono lungo il percorso, ma noi siamo stati fortunati: li abbiamo trovati dopo “solo” due ore e un quarto. Altri gruppi sono andati avanti per più di quattro ore! In testa e in coda al gruppo, ci sono due guardie armate di fucile, pronte a spaventare eventuali bufali o elefanti solitari e aggressivi che potrebbero incrociare il nostro cammino. In mezzo, c’è un ranger con un machete e un walkie-talkie, in costante contatto con i battitori che stanno cercando i gorilla.

Mentre si sale per i sentieri ripidissimi, bisogna fare attenzione a un sacco di cose: evitare le spine, non finire in mezzo a un formicaio, non scivolare sulle rocce umide coperte di vegetazione o, peggio, non cadere giù per una scarpata. A un certo punto, il ranger ti dice che tra quaranta minuti vedrai i gorilla. È il segnale: si lascia il sentiero, e ci si addentra nella giungla, in fila indiana, con il machete che apre la strada.
Poi, un’altra pausa. Il ranger ti fa bere un sorso d’acqua: tra dieci minuti incontreremo i gorilla, e una volta lì, non si potrà rovistare nello zaino. Mentre sorseggi, ripassi mentalmente tutte le raccomandazioni ansiogene del briefing. “Non guardare MAI il silverback negli occhi!!” sembra ancora risuonare in testa, quasi fosse un mantra.

Un colpo secco di machete, e li vedi. È sorprendente quanto le loro mani e i loro occhi siano simili ai nostri.
Le famiglie di gorilla di montagna sono organizzate in gruppi sociali ben strutturati, guidati da un maschio dominante: il silverback; è il più grande e il più forte, e si riconosce dal pelo argentato sulla schiena. È responsabile di proteggere la famiglia, prendere decisioni e risolvere i conflitti. Nel gruppo ci sono anche i blackbacks, dei maschi più giovani che potrebbero un giorno sfidare il silverback e diventare leader. A volte, questi maschi lasciano il gruppo per formare una loro famiglia o unirsi a un altro gruppo.
Le femmine vivono con il silverback e si occupano dei cuccioli. Sono molto unite e si supportano a vicenda nella cura dei piccoli e nella ricerca di cibo. I cuccioli sono il centro dell’attenzione e vengono protetti e coccolati da tutti. Passano il tempo a giocare e a imparare, sviluppando le loro abilità sociali e di sopravvivenza.

Il trek di ritorno è sembrato interminabile, e nessuno ha parlato molto.
Sulla via del ritorno, abbiamo incontrato il corteo di un matrimonio con gli invitati con i loro abiti colorati, lo sposo in smoking e la sposa con il velo e il vestito bianco. Camminavano tra nuvole di terra rossa, ma sembravano felici.

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