Da quando abbiamo superato la metà del viaggio, il tempo sembra fluttuare in un modo quasi surreale. Ishasha è una regione all’interno del Parco Nazionale Queen Elizabeth, famosa per il suo paesaggio unico e per la sua popolazione di leoni arboricoli, una delle attrazioni principali del parco.
Questa mattina ci siamo dedicati alla ricerca dei leoni, perlustrando ogni angolo del bush. Era la nostra ultima possibilità di vederli, e quando abbiamo avvistato degli avvoltoi che volteggiavano in cerchio, ci abbiamo sperato. Speranza che è svanita lentamente, mentre uscivamo dai cancelli del parco. Proprio quando pensavamo che non potesse andare peggio, abbiamo bucato la seconda gomma.

I trasferimenti in Uganda possono sembrare interminabili: duecento chilometri di polvere e strade sterrate piene di buche e pendenze assurde, con i nostri cibi di conforto – caramelle e biscotti – che passavano di mano in mano, in una specie di rituale condiviso con Abdul. Gli abbiamo persino fatto ascoltare gli Skiantos, povero Abdul, probabilmente non sapeva se ridere o piangere.
Kihihi è quasi Congo, e le persone hanno ancora paura. La guesthouse dove siamo capitati aveva porte di metallo pesanti, con una complicatissima chiusura blindata artigianale. Durante il giorno non c’è corrente quasi da nessuna parte, e trovare una birra fresca è un’impresa.

Incontriamo un ragazzino di 15 anni che dice di voler diventare prete in Vaticano. Ha dei bei lineamenti, ma non siamo completamente convinti della sua vocazione.
“Da dove vieni?”
“Dall’Italia.”
“Ah, come gli altri? Davvero? Sei diversa. Vedi come tutti ti guardano per strada? È perché tu sei proprio muzungu. Sei proprio come ci immaginiamo i bianchi. Ti piace l’Uganda?”

Leave a comment