Rimane solo l’ultima notte, quella dei discorsi con gli sconosciuti nelle hall degli alberghi.
Gli sconosciuti gentili che, sulla spiaggia di Waikiki, ti chiedono: “Hey, girl. Ti piace la mia longboard? Vuoi provarla?”—e non c’è nessuna facile allusione sessuale.

Poi arriva il tramonto all’aeroporto di Honolulu. Scalo a San Francisco. Scalo a Newark.
Trentasei ore senza chiudere occhio.
La crepa nella mia valigia e il Lost&Found di Malpensa.
40 ore, 48, 50.
Silvia 1 – jet lag 0.
A volte penso che sia stato solo un sogno, come per il bambino di Doraemon.
Se è stato un sogno, è stato bellissimo.


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