
Mi ha svegliato una scossa di terremoto verso le quattro e mezza – cinque, e non sono più riuscita a dormire. Ho acceso l’iPod al buio e ho aspettato che si svegliassero anche gli altri. Alle sei abbiamo aperto le porte e le finestre del residence. Entrava una luce fredda e grigia e un forte odore di noce moscata. Poi abbiamo caricato la macchina e siamo ripartiti.
È sorprendente quanto cambino il paesaggio e la vegetazione. Uscendo dallo Yosemite l’aria si scalda e la California sembra quel frutteto pianeggiante che si vede nelle pubblicità delle prugne secche. Poi diventa brulla, con i cespugli bassi della macchia mediterranea, finché a un certo punto spuntano gli alberi.

Siamo arrivati al Sequoia National Park verso le sei di sera, c’era una luce bellissima. Gli alberi erano enormi, ancora più imponenti di quanto immaginassi, con un’aria preistorica, molto zen e onnicomprensiva.
Non sono brava con le piante, proprio come non lo sono con i bambini. Quando mi regalano dei fiori, riesco a farli morire in tempi sorprendentemente brevi. Però mi piacciono. Davanti a un albero alto come un palazzo di trenta piani, come la Statua della Libertà o come un Boeing 747, rimani a bocca aperta, con il mento puntato in alto, senza dire niente. Quanta pioggia e quanti tramonti può aver visto un albero millenario?
Abbiamo cenato sul terrazzo del ristorante messicano del paese appena fuori dal parco. Vista sulla highway, con i fili di lucine. Mi piacciono le lucine.


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